Un nuovo commissario si aggira tra gli uffici siciliani, questa volta è una donna, una donna forte, una che non fa sconti a nessuno, che non si nasconde dietro la sua femminilità ma che, nonostante il maschilismo imperante in una terra aspra e in un lavoro spesso misogino, si orienta senza se e senza ma tra le sue indagine. Si chiama Livia, come l’eterna fidanzata di Salvo Montalbano, l’altro poliziotto (maschio) nato dalla penna di Andrea Camilleri (maschio anche lui), una Livia scritta e immaginata da una donna e, forse per questo così realistica, forse la donna giusta per quel Salvo di cui parlavamo prima. Aspra come lui ma alla mano, vicina a tutti tanto che non usa quasi mai il suo cognome, Solari, ma tutti la chiamano per nome.
Il testo della Sorbera non è un elogio alla femminilità anzi, non si accenna mai a questo, tanto che Livia è molto poco descritta, di lei si sa poco e, quel poco assaggio di donna incuriosisce il lettore attento. A tratti Livia può sembrare antipatica, sembra molto lontana dalla donna come spesso viene intesa. Livia non ha amori, non è Giovanna Scalise di “Distretto di Polizia” che lotta contro la mafia e si porta dietro il fantasma del marito morto, non è Stella Morini, la moglie di Flavio Insinna in “Ho sposato uno sbirro”, è lei lo “sbirro”, con la gonna (anche se non la porta). Il libro è un giallo figlio dei nostri tempi, la scrittrice fa un’analisi profonda della realtà odierna. Due ragazzi vengono trovati morti all’interno della loro automobile e da li partono le indagini. Si pensa a tutto tranne che al finale più moderno, quello della perdita dei lavori. Due ragazzi, due fidanzati, due giovani che stavano insieme, questo è quello che sembra ma, quello che sembra è davvero quello che è? Quasi mai! e così andando avanti con le indagini si scopre una verità che spesso fa male, soprattutto ai genitori, ovvero che oggi, un ragazzo, è capacissimo di vendere l’anima al diavolo per poche lire. La famiglia ne rimane sconcertata, un giallo all’interno di due famiglie che, con quel fidanzamento, erano diventate un tutt’uno e che insieme perdono tutto. Nel libro però non c’è solo il giallo, non si pensi che sia la trasposizione moderna del Dottor Faust, non lo è per niente, semmai è lo specchio dei tempi ma, non c’è solo questo. Ci sono anche tante risate. Già dalle prime battute non manca l’ironia che però ha del tragico, una donna chiede aiuto e, in suo soccorso arriva il Commissario Livia, ma la signora che chiede aiuto non crede nelle possibilità di Livia e quasi la schernisce “ma non ci sono uomini in commissariato?” chiede e continua “Anche se lei ha una pistola è pur sempre una donna indifesa” e così conosciamo la spalla di Livia, Angelo Spagnoli, suo vice e amico. Un uomo opposto a Livia, padre di famiglia, molto più “morbido” nei modi, in cerca di mezze misure.
Una storia da leggere con gli occhi attenti, da capire e da assorbire piano piano, un modo per capire la generazione di oggi senza incappare in un testo moralista. Una donna (la scrittrice) che ci propone una nuova donna (Livia Solari) e chissà che un giorno questa Livia non faccia da sostituta alla più nota Livia camilleriana. (recensionelibri.org)
Il testo della Sorbera non è un elogio alla femminilità anzi, non si accenna mai a questo, tanto che Livia è molto poco descritta, di lei si sa poco e, quel poco assaggio di donna incuriosisce il lettore attento. A tratti Livia può sembrare antipatica, sembra molto lontana dalla donna come spesso viene intesa. Livia non ha amori, non è Giovanna Scalise di “Distretto di Polizia” che lotta contro la mafia e si porta dietro il fantasma del marito morto, non è Stella Morini, la moglie di Flavio Insinna in “Ho sposato uno sbirro”, è lei lo “sbirro”, con la gonna (anche se non la porta). Il libro è un giallo figlio dei nostri tempi, la scrittrice fa un’analisi profonda della realtà odierna. Due ragazzi vengono trovati morti all’interno della loro automobile e da li partono le indagini. Si pensa a tutto tranne che al finale più moderno, quello della perdita dei lavori. Due ragazzi, due fidanzati, due giovani che stavano insieme, questo è quello che sembra ma, quello che sembra è davvero quello che è? Quasi mai! e così andando avanti con le indagini si scopre una verità che spesso fa male, soprattutto ai genitori, ovvero che oggi, un ragazzo, è capacissimo di vendere l’anima al diavolo per poche lire. La famiglia ne rimane sconcertata, un giallo all’interno di due famiglie che, con quel fidanzamento, erano diventate un tutt’uno e che insieme perdono tutto. Nel libro però non c’è solo il giallo, non si pensi che sia la trasposizione moderna del Dottor Faust, non lo è per niente, semmai è lo specchio dei tempi ma, non c’è solo questo. Ci sono anche tante risate. Già dalle prime battute non manca l’ironia che però ha del tragico, una donna chiede aiuto e, in suo soccorso arriva il Commissario Livia, ma la signora che chiede aiuto non crede nelle possibilità di Livia e quasi la schernisce “ma non ci sono uomini in commissariato?” chiede e continua “Anche se lei ha una pistola è pur sempre una donna indifesa” e così conosciamo la spalla di Livia, Angelo Spagnoli, suo vice e amico. Un uomo opposto a Livia, padre di famiglia, molto più “morbido” nei modi, in cerca di mezze misure.
Una storia da leggere con gli occhi attenti, da capire e da assorbire piano piano, un modo per capire la generazione di oggi senza incappare in un testo moralista. Una donna (la scrittrice) che ci propone una nuova donna (Livia Solari) e chissà che un giorno questa Livia non faccia da sostituta alla più nota Livia camilleriana. (recensionelibri.org)