«Siamo una coppia formata da due stranieri. La coppia che accetta la libertà di due estraneità può divenire un vero e proprio campo di battaglia. Da qui il bisogno di armonizzare. La fedeltà è una sorta di armonizzazione dell’estraneità. Se permettete che l’altro sia straniero quanto lo siete voi, l’armonia ritorna. Le note stonate si trasformano nei movimenti di una sinfonia».
Julia Kristeva
«Non amo la parola coppia, non l’ho mai potuta sopportare. Julia e io siamo sposati, ma ciascuno di noi ha la sua personalità, il suo nome, le sue attività, la sua libertà. L’amore è il riconoscimento pieno dell’altro in quanto tale. Se l’altro è molto vicino, come in questo caso, la posta in gioco è quella dell’armonia nella differenza. La differenza tra un uomo e una donna è irriducibile, non è possibile nessuna fusione. Si tratta di amare una contraddizione, ed è qui il bello».
Philippe Sollers
«Quali possibilità c’erano che Julia e Philippe, le cui storie rivelano singolarità incommensurabili, si incontrassero a Parigi nel 1966? Che si amassero prima, durante e dopo il Maggio ’68? Che restassero sposati dal 1967? Poche possibilità: il calcolo delle probabilità avrebbe bisogno di una serie astronomica di cifre dopo lo zero…». Eppure, tutto ciò è successo. Due «stranieri» nel corpo e nell’anima hanno deciso di restare saldamente in un luogo che essi stessi hanno scelto di disegnare come il loro matrimonio dal momento in cui ciascuno ha sentito che il «vivere con l’altro» gli era inevitabile. Prende avvio da qui un dialogo serrato sull’amore, che assume la forma di un vero e proprio lessico della vita matrimoniale. Julia Kristeva, psicanalista e scrittrice, e Philippe Sollers, scrittore e filosofo, due personalità di spicco della cultura del nostro tempo, si interrogano sull’arte di costruire un matrimonio che duri e che resista agli urti della società globalizzata, ma anche sulle ragioni per cui hanno scelto di armonizzare le loro diversità all’apparenza inconciliabili in un «luogo vivente come un organismo, le cui parti perdono un po’ di se stesse in nome della libertà dell’altro». Non vi è in questa riflessione a due l’illusione che il matrimonio nasca da una fusione assoluta e perfetta, in sé compiuta; vi è piuttosto la lucida consapevolezza che vivere il matrimonio come un’arte equivale a provare, di giorno in giorno, faticosamente, ad accostarsi a esso con tutta la sapiente accortezza che un’arte appunto richiede. Accettando che ogni svolta sul proprio cammino sia un ricominciare sempre daccapo; lasciando che il proprio io muoia per lasciar essere l’altro, perché ciascuno dei due sa che è proprio «questo legame sovrano che mi fa essere là dove io devo stare».
Julia Kristeva
«Non amo la parola coppia, non l’ho mai potuta sopportare. Julia e io siamo sposati, ma ciascuno di noi ha la sua personalità, il suo nome, le sue attività, la sua libertà. L’amore è il riconoscimento pieno dell’altro in quanto tale. Se l’altro è molto vicino, come in questo caso, la posta in gioco è quella dell’armonia nella differenza. La differenza tra un uomo e una donna è irriducibile, non è possibile nessuna fusione. Si tratta di amare una contraddizione, ed è qui il bello».
Philippe Sollers
«Quali possibilità c’erano che Julia e Philippe, le cui storie rivelano singolarità incommensurabili, si incontrassero a Parigi nel 1966? Che si amassero prima, durante e dopo il Maggio ’68? Che restassero sposati dal 1967? Poche possibilità: il calcolo delle probabilità avrebbe bisogno di una serie astronomica di cifre dopo lo zero…». Eppure, tutto ciò è successo. Due «stranieri» nel corpo e nell’anima hanno deciso di restare saldamente in un luogo che essi stessi hanno scelto di disegnare come il loro matrimonio dal momento in cui ciascuno ha sentito che il «vivere con l’altro» gli era inevitabile. Prende avvio da qui un dialogo serrato sull’amore, che assume la forma di un vero e proprio lessico della vita matrimoniale. Julia Kristeva, psicanalista e scrittrice, e Philippe Sollers, scrittore e filosofo, due personalità di spicco della cultura del nostro tempo, si interrogano sull’arte di costruire un matrimonio che duri e che resista agli urti della società globalizzata, ma anche sulle ragioni per cui hanno scelto di armonizzare le loro diversità all’apparenza inconciliabili in un «luogo vivente come un organismo, le cui parti perdono un po’ di se stesse in nome della libertà dell’altro». Non vi è in questa riflessione a due l’illusione che il matrimonio nasca da una fusione assoluta e perfetta, in sé compiuta; vi è piuttosto la lucida consapevolezza che vivere il matrimonio come un’arte equivale a provare, di giorno in giorno, faticosamente, ad accostarsi a esso con tutta la sapiente accortezza che un’arte appunto richiede. Accettando che ogni svolta sul proprio cammino sia un ricominciare sempre daccapo; lasciando che il proprio io muoia per lasciar essere l’altro, perché ciascuno dei due sa che è proprio «questo legame sovrano che mi fa essere là dove io devo stare».