"All'inizio c'è una macchia nerastra oblunga che si muove. Bisogna aspettare qualche secondo: un lampo bianco, una scossa della macchina da presa, e la pellicola diventa più nitida." La macchia è una lunga fila di prigionieri, sorvegliati da una squadra di guardie armate; il filmato è un documentario degli anni Venti su uno dei primi gulag sovietici nelle isole Solovki, un arcipelago del Mar Bianco, nel nord della Russia.
Un secolo dopo, tre amici fiorentini – non più giovani ma non ancora veramente adulti – partono per le Solovki per lavorare al restauro di un antico monastero ortodosso. Pochi giorni dopo spariscono senza lasciare traccia. Mentre la polizia archivia il caso come un incidente, il giornalista freelance Alessandro Capace decide di andarli a cercare. Capace è un "brillante fallito" di trentasei anni e vive anche lui a Firenze, "questa città di provincia liquidata un tanto al chilo ai turisti internazionali, questo mercato di ciarpame en plein air, questa Venezia senz'acqua, questo luna park a misura di teenager americana ciabattante in infradito, questa Cancún rinascimentale dove uno ha sempre l'impressione che, a parte i camerieri, nessuno veramente lavori". Saranno i suoi articoli e la sua tenacia a tenere viva l'attenzione intorno alla misteriosa scomparsa dei tre amici.
Dove sono finiti? Sono scappati, o qualcuno li ha fatti sparire? E in entrambi i casi: perché? Sono davvero amici, come anni di vita comune, dal liceo in poi, lascerebbero credere? O c'è una verità più amara nascosta nel loro passato? O forse nel passato dell'isola, in quel groviglio di violenza e ingiustizia che è la storia delle isole Solovki?
Dopo i suoi reportage dal Giappone e dall'Islanda, dopo la sua "antropologia del presente" sull'Italia e su Matteo Renzi, Claudio Giunta scrive un noir ironico, amaro e divertente, un romanzo che sa riunire in sé il perfetto meccanismo del giallo, la riflessione sulla società italiana di oggi vista da Firenze, città meravigliosa e inerte, e gli atroci e splendidi scenari ghiacciati delle isole Solovki, dove per decenni "il male si è conservato, dormiente, come un virus".