“Per la prima volta, il Fascismo si trova ad affrontare un nemico agguerrito e organizzato, armato e ben equipaggiato, nonché deciso a resistere a oltranza.” Così scrive Italo Balbo. È il 4 agosto del 1922. Il popolo di Parma, la gente di Oltretorrente, si è preparata a resistere. Alla testa degli Arditi del Popolo c’è Guido Picelli, memorabile figura di militante e di melomane. Picelli e Balbo, il mito socialista e il camerata fascista, rivivono nei ricordi di un vecchio Ardito il giorno dei funerali di Mario Lupo nel 1972 quando, mezzo secolo dopo, lo scontro fra sinistra extraparlamentare e neofascisti riconduce quasi naturalmente agli avvenimenti di cinquant’anni prima. E così, ecco affiorare, fra leggenda e mito, l’“instancabile Picelli”, eletto deputato socialista dai borghi dell’Oltretorrente per farlo uscire dalla galera, loggionista appassionato, impeccabile nel vestire. Lui sa bene che i raid fascisti, se hanno piegato la Romagna, potranno trovare una salda resistenza nella sua Parma. Italo Balbo, capo istintivo, trascinatore di masse (e perciò sempre più sospetto agli occhi di Benito Mussolini) succede a Roberto Farinacci nella conduzione delle operazioni, coinvolge l’esercito e vuole una battaglia definitiva, combattuta con ogni mezzo lecito e illecito. Picelli e Balbo emergono via via in tutto il loro spessore psicologico mentre la scena si apre, epicamente, sulle barricate, sul concorso attivo della popolazione, sulle donne che prendono parte alla lotta, su un popolo capace di essere un popolo..
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