Il Vocabolario del Velista è un’opera di pregevole recupero del linguaggio marinaresco italiano. L’utilizzo improprio dei termini impiegati in navigazione può infatti dare luogo a equivoci pericolosi. La lingua marinaresca è anche un elemento di distinzione e di appartenenza: gli uomini di mare, parlando lo stesso linguaggio, sentono di fare parte dello stesso mondo, diverso da quello di chi vive e lavora sulla terraferma. Dopo gli Anni 50 la nuova “gente di mare” ha in parte modificato i termini marinareschi attingendo alle parole terraiole solo perché queste suonavano bene. I casi più frequenti, si ricorda in questo volume, sono le “mure” tradotto in “mura”, oppure “sagola” trasformato in “scottino”, e il nostro “quadrato” ripreso dal francese “dinette” solo perché è il luogo dove sulle navi si consumano i pasti. Il cambio di linguaggio coincise col passaggio dalla marineria a vela a quella a motore che cambiò la vita dei marinai. Il linguaggio marinaresco sopravvisse nel Dopoguerra sulle poche navi-scuola a vela della Marina Militare e quando le unità da diporto furono affidate a professionisti, discendenti dei marinai dei velieri dai quali avevano ereditato un grande amore per la loro professione, incluso il mantenimento della terminologia tradizionale. Poi il boom della nautica e le possibilità offerte da questo nuovo promettente settore, attrassero gente che nulla in comune aveva con il mare e le barche. Il linguaggio marinaresco risentì di tale passaggio e assomigliò sempre più alle familiari parole della lingua italiana con delle evidenti storpiature. Scrive Piero Ottone nella prefazione di questo volume: “Saremo di nuovo marinai presentabili quando impareremo a parlare di nuovo da marinai, come in tempi lontani. In questo tentativo di recupero, il dizionario di Giancarlo Basile costituisce una pietra miliare”.
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